STATI UNITI, INIZIA LA SECONDA PRESIDENZA TRUMP

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La nuova presidenza Trump che prende il via oggi andrebbe guardata senza le lenti deformi degli interessi politici di parte, riducendo il tasso di provincialismo con cui troppo spesso seguiamo le vicende politiche internazionali. Trump le elezioni le ha vinte e con un larghissimo consenso popolare (oltre 77 milioni di voti contro i 74,7 milioni di Harris). Ne aveva presi circa 63 milioni contro la Clinton nel 2016 e oltre 74 milioni contro Biden nel 2020. Segno evidente di un radicato consenso popolare in quella che è la più grande e consolidata democrazia del mondo. Si può aver parteggiato legittimamente per l’una o per l’altra parte, ma prima di elargire lezioni di democrazia agli americani converrebbe occuparsi con analoga severità di ciò che accade in Cina, in Russia o in Arabia Saudita e in tanti altri Paesi del Mondo di cui facciamo finta di non vedere i difetti. Con tutti i suoi limiti gli Stati Uniti sono ancora un faro per gli amanti della libertà in ogni Paese del mondo e – peraltro – sono anche il Paese in cui la disoccupazione è bassissima, le diseguaglianze si sono ridotte significativamente in questi anni e in cui l’operaio meno specializzato guadagna probabilmente molto più di un nostro colletto bianco. Per lenire i timori con cui molti guardano al nuovo corso statunitense basterebbe riflettere sul fatto che Trump è già stato alla Casa Bianca per quattro anni: i risultati di quella Presidenza sono ovviamente controversi (lo sono per ogni Presidente, anche per i presidenti democratici che non hanno lesinato l’uso delle armi in svariati conflitti), ma durante i precedenti quattro anni di presidenza trumpiana, non è scoppiata la terza guerra mondiale né si è fermata la crescita globale. Possiamo essere relativamente certi che anche durante questa Presidenza, Trump farà quello che fanno ovunque i capi di Stato e di governo: tutelerà gli interessi del suo Paese. E per quanto sia legittimo preoccuparsi che ciò non vada in conflitto con la fragile economia europea, dobbiamo confidare sia sulla solidità e storicità delle relazioni transatlantiche sia sull’enorme interscambio economico che lega i mercati europei con quello statunitense. Il vero elemento di preoccupazione, in una fase in cui alcune delle richieste americane che qualche anno fa sembravano irrituali (la pretesa che i paesi europei aumentassero l’impegno nelle spese militari, la critica all’eccessiva pervasività delle soluzioni per il contrasto al cambiamento climatico) andrebbero oggi lette con maggiori obiettività e onestà intellettuale, è la debolezza politica dell’Unione Europea priva di una politica estera e di una difesa comune e la fragilità politica dell’asse franco-tedesco. In questo scenario l’Italia ha il vantaggio di poter giocare un ruolo importante con un governo stabile e la presenza di oggi di Giorgia Meloni a Washington ne rappresenta la palese conferma. Avere un rapporto preferenziale con gli Stati Uniti è un privilegio che ha già portato dei risultati (come nel caso di Cecilia Sala): conviene oggi fare il tifo perché questo rapporto si consolidi e sperare che il nuovo corso americano contribuisca a fermare l’orrendo conflitto scatenato dalla Russia nel cuore dell’Europa.

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