Segnali contrastanti

di Sergio RomanoCorriere della Sera del 07.05.2012

Chi crede nell’unità dell’Europa ha spesso constatato con un certo rammarico che nelle campagne elettorali dei suoi membri si parlava di tutto fuor che del futuro dell’Ue. Quello stesso europeista potrebbe constatare oggi, forse con altrettanto rammarico, che negli ultimi giorni, soprattutto in Francia e in Grecia, dell’Europa si è parlato sin troppo. Lo hanno fatto beninteso soprattutto coloro che all’Ue e alla globalizzazione (per molti sono due volti della stessa cosa) attribuiscono tutti i mali del momento: l’oppressione fiscale, la perdita del posto di lavoro, il precariato, l’attesa della pensione prolungata nel tempo. Insieme alla crisi olandese e al malumore spagnolo le elezioni francesi e greche dimostrano che nell’Unione europea esiste ormai un partito d’opposizione formato da un largo ventaglio di movimenti troppo diversi per marciare insieme, ma abbastanza numerosi per rendere la vita difficile a chi nei prossimi anni avrà il compito di governare il suo Paese.

Il quadro sarebbe incompleto, tuttavia, se non aggiungessimo almeno due osservazioni, di cui la prima concerne la Francia e la seconda interessa particolarmente la Grecia. In Francia il sistema politico ha concesso a tutti gli schieramenti di giocare la loro partita, ma ha lasciato sul campo, alla fine del primo turno, due candidati egualmente convinti, anche se con stile diverso e qualche reticenza, che il loro Paese non può fare a meno dell’Europa. Nicolas Sarkozy ha ceduto alla tentazione di corteggiare i voti del Fronte Nazionale con argomenti protezionisti e xenofobi che appartengono al bagaglio del vecchio nazionalismo francese; mentre François Hollande ha dichiarato di volere rinegoziare o ammorbidire il patto fiscale. Ma il primo è stato il migliore alleato del cancelliere tedesco nella politica europea del rigore. Mentre François Hollande, quando il suo partito fu attraversato da un’ondata di euroscetticismo, rimase fedele alla linea che era stata di François Mitterrand.

Il caso della Grecia è politicamente più complicato. Il presidente francese potrà contare su un sistema costituzionale che fa del vincitore, quale che sia il margine della vittoria, un monarca repubblicano. In Grecia, invece, non vi sarà un vincitore. Il voto si è disperso fra molti partiti e il Paese sarà governato da una coalizione traballante, costretta a misurarsi continuamente con i malumori della piazza. Ma il voto riflette la rabbia della società e il suo giudizio sugli uomini da cui è stata governata piuttosto che i suoi sentimenti sull’Europa. La grande maggioranza dei greci (forse il 70% secondo alcuni sondaggi), crede che la Grecia, fuori dell’Europa, sarebbe perduta. Da queste elezioni e da quelle che verranno nei prossimi mesi l’Europa non uscirà acclamata e trionfante. Ma i suoi nemici non saranno riusciti a dimostrare che esiste qualcosa di meglio su cui investire le proprie speranze.

Fonte: Corriere della Sera

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