Perché la riforma della Buona scuola non è altro che una riforma alla buona

scuola

Molti annunci, proclami roboanti e distanza abissale rispetto ai dati concreti e ai risultati effettivamente raggiunti.
Le parole del Premier di un anno fa annunciavano una vera rivoluzione per la scuola, che ne sarebbe uscita totalmente riformata nel segno del merito, di un’organizzazione maggiormente efficace, con livelli decisionali e di responsabilità chiari, di un’apertura al territorio e al tessuto produttivo.
Era per raggiungere questi risultati – diceva Renzi – che si portavano nuove risorse economiche e umane nella scuola.
In questa prospettiva, un anno fa, come Forza Italia avevamo dato segnali di apertura al confronto, per un progetto che recuperava esplicitamente i principi ed i valori del centro destra e dell’esperienza dei governi Berlusconi.
È chiaro che la scuola non possa essere assimilata ad un’azienda, ma è altrettanto evidente che deve essere organizzata secondo gli stessi criteri di razionalità, efficacia ed efficienza e deve essere valutata, per poter migliorare ed adeguarsi ai bisogni degli studenti e della società che si evolve.
Deve inoltre essere in grado di attrarre i migliori talenti per l’insegnamento ed adottare criteri meritocratici per la progressione di carriera ed il relativo riconoscimento economico.
Poteva davvero essere la volta buona per superare quella ideologia assembleare dei decreti delegati degli anni ’70, che in nome di una scuola democratica e partecipata, ha progressivamente portato ad una scuola autoreferenziale e orientata più a rispondere agli interessi dei docenti che al bene degli studenti, con dirigenti scolastici che continuano a non avere leve forti di coordinamento delle attività, e che non possono selezionare i docenti che dovranno realizzarle, attraverso un’analisi dei profili più idonei.
Di tutto questo, non è rimasto nulla nel disegno di legge di riforma dell’istruzione che la maggioranza si appresta a votare sotto il ricatto del voto di fiducia.
Gli investimenti sulla scuola – ben tre miliardi di euro l’anno – non sono finalizzati al potenziamento della didattica, al miglioramento qualitativo e quantitativo dell’offerta formativa, ma sono utilizzati per assumere personale aggiuntivo senza cattedra, senza alcuna operazione di valutazione di merito, solo per rispondere ad una logica sindacale di stabilizzazione di personale precario, distinguendo peraltro tra precariato di serie A e precariato di serie B. Più volte ho espresso la mia contrarietà rispetto ai criteri adottati per le immissioni in ruolo e alla scelta di escludere gli abilitati con percorsi TFA e PAS, criticando l’incoerenza del Governo.
Sull’organizzazione scolastica, il Governo ha ceduto immediatamente alle pressioni sindacali e della sua minoranza interna, pronti a salire sulla barricata del conservatorismo, per evitare una organizzazione chiara con funzioni e responsabilità ben delineate, valutazione, meritocrazia. Quindi, si è deciso di abbandonare ogni afflato riformista di evoluzione della scuola verso una maggiore efficienza.
Il risultato è un’altra occasione persa, con l’aggravante della spesa aggiuntiva a carico dei cittadini. Gli interventi sull’organizzazione sono insignificanti, gli scatti di anzianità non sono stati toccati, i poteri dei dirigenti ridotti, il tutto in nome di un piano assunzionale fortemente ridimensionato rispetto alle aspettative degli stessi docenti. Anche la nuova modalità di “proposta degli incarichi ai docenti”, rischia di diventare una procedura burocratica più che di reale valutazione e selezione delle professionalità più idonee a ricoprire un determinato incarico.
La speranza è che la corsa all’approvazione di un provvedimento tanto impopolare quanto frutto di più tentativi di mediazione interna alla stessa maggioranza, sia almeno utile a portare in cattedra dal primo settembre i nuovi docenti. Sono consapevole dei tempi burocratici di definizione di tutte le procedure amministrative per l’immissione in ruolo. Mi auguro che lo sforzo delle strutture ministeriali di ridurre al massimo i tempi, possa davvero consentire di raggiungere almeno uno degli obiettivi proposti dalla riforma: l’assunzione dei docenti dal prossimo settembre!

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