La più larga opposizione

Di Angelo Panebianco – Da Il Corriere della Sera

Gli ostacoli invisibili del governo

Ormai il problema si è palesato in tutta la sua gravità. Il governo delle larghe intese appare al momento incapace di aggredire, con la forza necessaria, gli ostacoli che impediscono la ripresa economica, sembra impossibilitato a bloccare la discesa dell’Italia lungo la china della recessione e dell’impoverimento. I provvedimenti fino ad ora presi sono per lo più buoni ma insufficienti. Non certo per carenze personali del presidente del Consiglio o dei principali ministri ma perché i vincoli che incombono sull’azione del governo sono stringenti e soffocanti. E la tecnica del rinvio, dall’Iva all’Imu, come tanti hanno già osservato, non risolve alcun problema.

Tenere i conti in ordine rilanciando la crescita si potrebbe ma solo se si affrontasse il nodo della riduzione della spesa pubblica. Solo da lì potrebbero venire le risorse necessarie per abbassare la pressione fiscale, rilanciando consumi e investimenti. Che fine hanno fatto, si chiedeva Sergio Rizzo sul Corriere di ieri, privatizzazioni, dismissioni del patrimonio pubblico, spending review , introduzione di prezzi standard nel servizio sanitario, eccetera? Il governo non solo è impossibilitato a fare tutto ciò che occorrerebbe per rilanciare la crescita ma non riesce nemmeno a scongiurare definitivamente ulteriori aumenti delle tasse. Perché? Per due ragioni. La prima ha a che fare con la capacità di resistenza e di veto di tutti gli interessi abbarbicati intorno alla spesa pubblica, nazionale e locale. A cominciare dall’interesse alla opacità del proprio agire dei vertici dell’Amministrazione. Scandalizzarsi per ciò che ha detto Renato Brunetta sul ministero dell’Economia fa sorridere. Si è sempre saputo che non ci sono mai state trasparenza e chiarezza in materia di conti dello Stato. E perché dovrebbero esserci? Chiarezza, trasparenza, semplificazione amministrativa, eccetera, sono tutte cose incompatibili con la discrezionalità e l’arbitrarietà a cui l’Amministrazione è abituata. E la loro assenza crea ostacoli quasi insormontabili che bloccano la possibilità di azioni efficaci di riduzione e razionalizzazione della spesa.

Né i governi Berlusconi, che avevano promesso sfracelli, né i governi di centrosinistra sono mai riusciti a venirne a capo. E ha combinato ben poco anche il governo Monti che, per lo meno, avrebbe potuto sfruttare la pressione generata dall’emergenza finanziaria, dall’attacco speculativo dei mercati. Perché il governo Letta dovrebbe riuscire dove hanno fallito tutti i suoi predecessori?

Ma la macchina dello Stato sarebbe riformabile e la spesa pubblica si potrebbe ridurre – dirà qualcuno – se solo ci fosse, finalmente, la volontà politica. E qui entra in gioco la seconda causa che rende così stringenti i vincoli sul governo: è data dal fatto che l’esecutivo non può contare, per vincere le resistenze corporative, sulla coesione delle forze parlamentari che formalmente lo sostengono. C’è una ragione di fondo, antica, legata alla natura del nostro sistema politico-istituzionale e una ragione contingente. Si sbagliava Enrico Berlinguer quando, proponendo il compromesso storico, sosteneva che in Italia non si governa con il cinquantun per cento. Non basta nemmeno l’ottanta per cento.

Per l’eccesso di poteri di veto esistenti dentro e fuori il Parlamento, e ad ogni livello del nostro sistema istituzionale, i governi, non importa quanto ampia sia la loro base di sostegno parlamentare, non riescono mai a mettere insieme la forza necessaria per fare politiche innovative, incisive e durevoli. Questo è un sistema costruito per premiare l’immobilismo, non l’azione.

C’è poi una ragione contingente: lo stato di marasma in cui si trovano, per ragioni diverse, i due principali partiti che sostengono il governo. Se il Pdl risente degli effetti delle condanne di Berlusconi e dei crescenti mal di pancia del suo elettorato, il Pd non sta affatto meglio. Le sorde lotte senza quartiere che si combattono al suo interno fra sostenitori convinti e sostenitori tiepidi del governo Letta e fra amici e nemici di Matteo Renzi, si ripercuotono continuamente sull’azione dell’esecutivo. Il pasticcio che ha portato al rinvio della decisione definitiva sull’acquisto dei cacciabombardieri F35 è ampiamente spiegabile come un effetto di quelle lotte.
Se il governo decidesse di impegnarsi in un ambizioso piano di riduzione della spesa pubblica (e di connesso abbassamento della pressione fiscale), che probabilità avrebbe, in queste condizioni, di portarlo a compimento? Come potrebbe impedire al Parlamento di annullare i suoi sforzi?

Eppure, a dispetto dei santi, il governo Letta dovrà per forza, prima o poi, rompere gli indugi e scegliere di volare alto. È sempre meglio cadere sul campo con onore, lasciando agli altri la responsabilità politica di abbatterti, piuttosto che adottare un profilo basso nella speranza (quasi sempre infondata) di garantirsi in questo modo una lunga vita.

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