La fine di un equivoco

Di Massimo Franco – Da Il Corriere della Sera

La reazione di Silvio Berlusconi alla sentenza con la quale ieri la Corte costituzionale ha negato che la sua assenza da un’udienza del marzo 2010 fosse giustificata, è apprezzabile: se non altro perché, pur ripetendo le accuse alla magistratura di volerlo eliminare dalla vita politica, garantisce che non verrà meno il sostegno al governo di Enrico Letta.
Si tratta di un gesto di responsabilità che risponde all’esigenza di tenere separati i due piani, come d’altronde fanno Palazzo Chigi e il Pd. E per ora disarma quanti nel centrodestra evocano dimissioni in massa se il Cavaliere in autunno fosse condannato e subisse l’interdizione dai pubblici uffici.

Ma, sebbene atteso e temuto, il «no» al legittimo impedimento nei processi che vedono Berlusconi imputato è un cuneo nel futuro della legislatura. Prolunga il conflitto tra i giudici e l’ex presidente del Consiglio. Dà fiato a quanti, nella maggioranza anomala che sostiene la coalizione, sono tentati di usare il verdetto come un’arma impropria. E rischia di perpetuare tesi come quella che vede nella decisione di ieri la conferma di una politica subordinata ai giudici; e nelle Procure il braccio provvidenziale dell’antiberlusconismo. Significherebbe una interpretazione grave delle decisioni della Corte, che però trova udienza in una parte dell’opinione pubblica.

Non solo. Il Pdl è sempre stato incline a vedere nel governo di unità nazionale, nato dopo le elezioni di febbraio e dopo la conferma di Giorgio Napolitano al Quirinale, il preludio di una pacificazione: una tregua nella quale si riconosce anche una parte della sinistra, oltre alla formazione dell’ex premier Mario Monti. Il problema è che, a torto o a ragione, il centrodestra ha sempre teso a dilatarne il significato, ricomprendendo nella sospensione delle ostilità i processi a Berlusconi. Sono visti infatti come un pezzo non trascurabile della «guerra dei vent’anni» che ha diviso i due schieramenti della Seconda Repubblica. Per questo il «no» della Corte viene vissuto come una smentita bruciante della tregua.

La distanza fra alleati di governo è racchiusa nel giudizio agli antipodi su una sentenza «politica e faziosa» per il Pdl; «tecnica» per il Pd. Il coro del centrodestra risulta compatto e in qualche caso esagerato. Compensa l’impossibilità di scaricare sul governo un provvedimento destinato a segnare il futuro di Berlusconi, in attesa anche della sentenza sul caso Ruby. E magari vela e cerca di far scivolare in secondo piano qualche errore nell’impostazione della difesa processuale del Cavaliere. Ma è altrettanto vistosa la cautela dei Democratici. Non si vogliono offrire pretesti polemici sia al fronte berlusconiano, sia alla sinistra che accusa il governo Letta di cedevolezza.
Probabilmente non ci sono rischi per la stabilità. Da ieri, tuttavia, è finito l’equivoco di una maggioranza fondata anche sulla pax giudiziaria.

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