Piuttosto che un aumento netto del tasso di occupazione, il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti unito al robusto sgravio contributivo potrebbe attivare solamente effetti sostitutivi tra le diverse tipologie contrattuali. Si corre il rischio che l’aumento dei contratti a tempo indeterminato sia solo l’effetto di trasformazioni di contratti temporanei già precedentemente stipulati, solo per poter fruire del bonus. Gli incentivi, però, sono previsti solo per le assunzioni del 2015. Dal prossimo anno, finiti i bonus e senza una riduzione strutturale della tassazione sul costo del lavoro, cosa succederà? Potremmo trovarci di fronte al blocco delle assunzioni a tempo indeterminato e al contemporaneo irrigidimento delle altre formule flessibili, che il Governo sta rivedendo con un altro decreto delegato dello stesso Jobs Act.
Sebbene abbia indubbiamente reso più facili i licenziamenti, il Governo sta irrigidendo la flessibilità in entrata, limitando il numero di assunzioni a tempo determinato e cancellando anche le vere collaborazioni a progetto secondo le vecchie logiche sanzionatorie della sinistra che già in passato hanno portato ad una riduzione dell’occupazione impedendo alle imprese di assumere. Anziché introdurre rigidità nel mercato del lavoro, il Governo si impegni a costruire un solido sistema di politiche attive che possano sostenere i lavoratori in caso di licenziamento.
Quello che ci preoccupa è come questa riforma ci restituirà il mercato del lavoro da qui ad un paio di anni, quando il contratto a tempo indeterminato non potrà più godere degli incentivi e non si potrà più ricorrere ad alcune forme contrattuali flessibili e utili per alcune tipologie di imprese, senza un sistema di politiche attive che aiuti i soggetti a ricollocarsi.