CYBERBULLISMO. LA STORIA DI CAROLINA PICCHIO, QUANDO “LE PAROLE FANNO PIU’ MALE DELLE BOTTE”

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Il caso fu drammatico e sconvolse il Paese: ieri il tribunale dei minorenni di Torino ha deciso il “non doversi procedere con dichiarazione di estinzione di reato” nei confronti dei cinque giovani coinvolti nel suicidio di Carolina Picchio, la ragazzina novarese che nel 2013, a 14 anni, si tolse la vita dopo essere stata vittima di episodi di cyberbullismo fra i banchi di scuola. La decisione è stata presa in conseguenza dell’esito positivo della “messa alla prova” dei ragazzi, all’epoca tutti minorenni. I cinque erano accusati a vario titolo di atti persecutori, violenza sessuale di gruppo, pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico, diffamazione, morte come conseguenza di altro reato, detenzione di hashish. 
Questa storia è diventata, purtroppo, un caso emblematico, una sorta di triste paradigma delle dinamiche e degli effetti perversi del cyberbullismo: un ex fidanzatino in preda al risentimento che, finita la relazione, comincia a subissare la ragazza di offese, facendo circolare video privati ed intimi, con una spirale di vessazioni e umiliazioni culminate nel suicidio di Carolina. 


Come Carolina, tanti altri ragazzi cadono purtroppo vittime di un fenomeno in drammatica crescita, di cui ancora si stentano a comprendere appieno cause scatenanti e tecniche di contrasto. Questi episodi impongono alla società, alle istituzioni, e prima ancora a ciascun cittadino, una riflessione profonda. Con un’avvertenza: sarebbe sbagliato, concentrarsi solo sul dato dell’estinzione del reato per positivo esito della messa alla prova: sarebbe come guardare il dito e non la luna. Infatti, per quanto comprensibile sia il senso di ingiustizia che un tale verdetto può suscitare, non è sull’inasprimento delle sanzioni o sulla proliferazione delle fattispecie di reato, che si gioca davvero la partita: in una materia che coinvolge così da vicino, e così intimamente, i minori, non possiamo concederci semplificazioni di facile presa. Il momento repressivo e sanzionatorio è solo l’ultimo anello di una catena d’interventi, che deve necessariamente prendere le mosse dalle “radici”, cioè dalla formazione. 
Su questa strada siamo da tempo impegnati come gruppo parlamentare e abbiamo presentato una serie d’iniziative ad ogni livello, per prevenire e contrastare il cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni. 


Questo stesso blog, nato pochi giorni dopo l’esplosione di un altro drammatico caso di adolescenza perduta (il caso Desirée), ha dedicato e sta dedicando molta attenzione a queste tematiche: la piattaforma, infatti, è nata per realizzare un dialogo costante e quotidiano con le persone, per aprire un cantiere in cui istituzioni e società civile possano lavorare assieme alla individuazione dei problemi e alla progettazione delle soluzioni. Molto lettere e segnalazioni sono giunte; un gran numero di esse riguardava proprio il tema dell’adolescenza violata, del cyberbullismo, e delle forme di abuso patologico degli strumenti informatici, rispetto alle quali l’ormai elevato allarme sociale richiede di mettere a punto una strategia organica, di sistema, per cercare di dare una risposta concreta e a 360 gradi a tutti questi fenomeni. È un impegno che intendo portare avanti con costanza e determinazione. Ne parleremo ancora.

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