Competere si può: 16 esempi da imitare

di Stefano RighiCorriere della Sera del 23.04.2012

Da BTicino a Chiesi, da Cimbali a Campari, alle funivie Leitner. Le migliori aziende per l’Università Bocconi. Le ricette vincenti

C’è ancora un’Italia che produce. Non solo servizi, ma cose, macchine, pezzi di macchina. E lo fa riuscendo a realizzare utili, a guadagnare soldi, a garantire occupazione a migliaia di addetti. Al tempo del terziario più o meno avanzato e della crisi più devastante dell’epoca moderna, resistono sacche di produzione industriale che gareggiano sui mercati internazionali, investendo in innovazione e vincendo la sfida dei mercati (vedi tabella).

L’analisi
L’Italia è, dopo la Germania ma prima di Francia e Inghilterra, la seconda nazione per produzione manifatturiera in Europa. Un’Italia nascosta e parziale, visto che il contributo al pil del secondo settore, l’industria, varia tra il 16 e il 21 per cento a seconda dei parametri utilizzati. Ma è un settore vivo e capace di essere protagonista. Non ci sono più i grandi nomi del passato, ma chi è rimasto ha un’energia nuova e la capacità di portare all’estero il know-how made in Italy. Non solo in settori quasi scontati come la moda o l’agroalimentare, ma anche nella meccanica, nell’automotive, nella componentistica aerospaziale.

La Sda Bocconi School of Management, in collaborazione con CorrierEconomia, ha passato al setaccio i bilanci e le performance industriali di oltre 250 imprese manifatturiere al fine di identificare il profilo dell’azienda che sa ancora coniugare produzione industriale e generazione di valore (vedi tabella). Un’analisi partita dai freddi numeri di bilancio e arrivata al confronto diretto col management delle strutture industriali. «Abbiamo analizzato un campione di aziende con un fatturato compreso tra i 50 milioni di euro e il miliardo di euro – spiega Enzo Baglieri, direttore della Unit Produzione e Tecnologia della Sda Bocconi School of Management – appartenenti ai settori manifatturieri. La soglia dimensionale è stata scelta per rendere una fotografia del migliore sistema produttivo nazionale, fatto di aziende medie e medio-grandi che competano nei contesti globali. I dati di bilancio sono poi stati incrociati con gli indicatori di performance dei progetti di ricerca Best Factory Award (Bfa) e Best Innovation Award (Bia), che la nostra Unit ha coordinato tra il 2000 e il 2010 e a cui larga parte di queste aziende hanno partecipato. In alcuni casi, sebbene non avessero contribuito direttamente ai progetti Bfa e Bia, abbiamo mantenuto nel campione quelle aziende che, partecipando ad altri nostri progetti di ricerca si sono sottoposti a check up dei processi operativi e di innovazione svolti con criteri analoghi a quelli dei progetti Bfa e Bia».

Aspetti qualitativi
Ai dati economici si sono poi associati indicatori di natura più qualitativa. «Questa seconda fase – spiega Baglieri, che ha coordinato uno staff composto anche da Raffaele Secchi e Iolanda D’Amato – si giustifica con due ordini di ragioni. Le osservazioni sui dati economico finanziari risentono nel breve termine di situazioni congiunturali. L’ultimo triennio ha pesantemente modificato il campione iniziale, ciò non toglie che vada premiata proprio la perseveranza industriale e il commitment strategico all’eccellenza produttiva e innovativa. Inoltre, i dati di bilancio non sempre riescono a rappresentare la complessità e l’appropriatezza delle scelte strategiche e operative in termini di operation e innovation. Spesso tendono ad apprezzare più le abilità contabili e finanziare che non quelle costruttive e tecnologiche, ed è invece su queste che si costruisce la solidità di un sistema industriale, come ci insegna il modello tedesco a cui tanti opinionisti spesso si ispirano» (vedi grafico).

I parametri
Ai risultati che vedete nelle tabelle di queste pagine si è giunti analizzando una serie di parametri. Alcuni molto tecnici, altri più intuitivi. Eccoli: l’Ebitda in rapporto alle vendite, ovvero un indice (l’Ebitda è il margine operativo al lordo di interessi, tasse, svalutazioni e ammortamenti) che misura la redditività industriale del sistema; il Roa (return on asset), che misura la capacità di generare valore attraverso i propri asset; l’Eccellenza nei processi di fabbrica (criteri Bfa) valutando la qualità dei processi, i tempi e i livelli del servizio, il costo, la prassi di gestione del personale di fabbrica, l’adozione di modelli Lean o World class manufacturing; l’Eccellenza nei processi innovativi (criteri Bia), valutando la qualità del processo di innovazione, il time to market, costi e investimenti di innovazione, la prassi di gestione delle risorse umane, le relazioni con fornitori e partner, l’integrazione con i clienti, l’uso di tecnologie innovative.

«Sia chiaro – sottolinea Baglieri – la nostra non è una lista esaustiva. Sebbene il metodo sia trasparente e parta dall’analisi dei dati pubblici di bilancio, il principio di inclusione nel campione è che ci siano stati forniti, direttamente o indirettamente, dati sulle prassi e le performance del proprio sistema industriale. Non escludo che esistano aziende altrettanto meritevoli di menzione che sfuggono alla nostra indagine. Questa prima lista ha proprio lo scopo di stimolare le aziende a partecipare al nostro progetto, fornirci i propri dati e giungere quindi, attraverso l’analisi di un numero sempre crescente di casi di successo, a definire una via tutta italiana alla produzione industriale, di cui il nostro paese ha indubbiamente bisogno se si vuole recuperare produttività, qualità e crescita economica».

L’élite
Il risultato, sintetizzato in tabella, evidenzia, due gruppi di aziende di elite, riconoscibili da «tre stelle» (assoluta performance economico finanziaria nel periodo di osservazione ed eccellenza produttiva e innovativa) o dai «due stelle» (performance economico finanziarie meno brillanti nel periodo e tuttavia continuità di eccellenza industriale e innovativa). Nelle tabelle si trovano quindi aziende note e altre che lo sono assai meno, ma che svelano tutta la capacità italiana di fare impresa. Si va dalle funivie della bolzanina Leitner, alle trasmissioni per auto della Gkn Driveline di Brunico; dalle pompe della padovana Dab agli stabilimenti nippon-oriented della Trw automotive; dai power train della trentina Dana alla componentistica aerospaziale di Secondo Mona spa; dagli stampi di Tecniplast ai pannolini che Fater realizza per Procter & Gamble fino alle pompe per il mondo dell’estrazione petrolifera e del gas realizzate dalla Weir Gabbioneta di Sesto San Giovanni. Un’Italia del «fare» che sa trovare quotidianamente il proprio modo di stare sul mercato. Alla faccia della crisi.

Fonte: Corriere della Sera

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