di Claudio Gentili – Il Sole 24 Ore del 04.05.2012
Sarà dura convincere la cancelliera tedesca Angela Merkel a smussare, in chiave pro-crescita europea, gli angoli più acuti del rigorismo fiscale. Eppure per il premier Mario Monti s’annunciano missioni anche più difficili. Quelle interne oltre le linee del ragionevole, tra un veto e l’altro, dentro e fuori al Governo e alla sua “strana” maggioranza che lo sostiene.
Un paio di casi (quello della vendita di Snam da parte dell’Eni e la conseguente possibile fusione Snam Rete Gas-Terna e la cessione del 21% di Acea da parte del Comune di Roma) aiutano a capire.
Vista sulla carta, la dismissione degli asset pubblici, in un Paese con rapporto debito/Pil al 120%, appare una manovra indispensabile e incontestabile. Non per niente sul tavolo del presidente del Consiglio i relativi dossier, da quello immobiliare a quello delle alienazioni delle aziende, in particolare quelle municipalizzate, si moltiplicano. Tra i punti fermi vanno citate a merito del Governo Monti le norme inserite nella Legge di stabilità 2012 che rendono più chiaro e vincolante il percorso della cessione delle aziende comunali nei servizi pubblici, cioè il cuore del socialismo municipale all’italiana. Parliamo di gestione dei rifiuti, trasporti, energia, dove ai casi di eccellenza si contrappone una miriade di società poco o per nulla efficienti ma appetibili dalla politica locale nel conteggio spartitorio delle poltrone.
L’obiettivo della legge è trasparente: se vogliono mantenere le concessioni, queste imprese che gestiscono servizi pubblici locali entro il 2012 dovranno mettere sul mercato e cedere una partecipazione non inferiore al 40 per cento. A Roma il Comune (il quale resterebbe socio di maggioranza con una quota del 30% mentre il 16% è in mano al gruppo Caltagirone ed il 12% ai francesi di Gdf) vorrebbe accelerare la vendita del 21% delle azioni Acea così da evitare che la società registri un danno ingente per la perdita del contratto di illuminazione pubblica.
Ma il braccio di ferro con l’opposizione locale del Pd, che parla di “svendita” e liquidazione, è forte.
E lo stesso Stefano Fassina, responsabile nazionale Economia e Lavoro del Pd, chiede il ritiro della delibera comunale alzando la bandiera del referendum del 2011 che a suo dire riguarderebbe non solo la gestione dell’acqua ma tutti i servizi pubblici locali. Insomma, fermi tutti. Vale però la pena di ricordare che le norme sulla cessione del 40% sono state votate in Parlamento dal Partito Democratico in pieno sostegno al Governo Monti e che, se da Roma passiamo a Torino, i messaggi politici cambiano di tono e di sostanza. Infatti, il sindaco Piero Fassino (Pd) ha in cantiere un piano di parziale privatizzazione di alcune società municipalizzate e considera «troppo piccole per essere piccole e troppo grandi per essere grandi» le ex municipalizzate come Iren a Torino, A2A a Milano e Acea a Roma. Meglio sarebbe ragionare in termini di “grande multiutility”. Insomma, non restiamo fermi.
Fonte: Il Sole 24 Ore