Carcere e lavoro: l’inclusione possibile

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Incentivare il lavoro nelle carceri, avvicinando il mondo dell’impresa a quello dei detenuti, èprioritario se vogliamo puntare alla recidiva zero. 

Oggi in Italia su 57mila detenuti lavorano solo in 5mila, ma sappiamo anche che il lavoro fa scendere la recidiva al 2%. 

Questo vuol dire che la direzione è quella giusta, che il lavoro in carcere non deve essere un’eccezione e che bisogna far crescere la percentuale di detenuti lavoranti. Questo vuol dire anche che la funzione rieducativa della pena, prevista dall’Art. 27 della Costituzione, deve continuare ad essere la nostra bussola. 

Si chiama “ESG e carcere: l’inclusione possibile” il ciclo di incontri che ho organizzato, insieme a Eleonora Di Benedetto della Fondazione Severino e a Caterina Micolano di Ethicarei. 

Un’iniziativa trasversale, oltre ogni appartenenza o colore politico, per dare voce a chi ogni giorno opera nelle carceri italiane, mettendo al centro la formazione e il lavoro. Il primo appuntamento si è tenuto ieri, martedì 7 maggio, nella sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, al Senato, a Roma. L’occasione giusta per ascoltare la testimonianza di realtà come Sielte, Bee4 Altre Menti, Cooperativa sociale L’Arcolaio, ma anche delDipartimento Amministrazione Penitenziario (Dap) e del Collegio Garante nazionale per le persone private della libertà. Realtà che portano avanti, nonostante mille difficoltà, progettualitàimportanti in molti istituti penitenziari. 

Negli appuntamenti successivi, previsti a giugno, settembre e novembre, ci confronteremo con alcuni esperti per comprendere l’impatto sociale, le ricadute che il lavoro in carcere ha sui detenuti e in generale sulla comunità; metteremo intorno a un tavolo lo Stato, il mondo imprenditoriale e il Terzo settore; approfondiremo sfide e opportunità della legge Smuraglia e delle nuove direttive europee. 

Le condizioni drammatiche in cui versano le carceri italiane le conosciamo, dal sovraffollamento alla carenza di personale, dall’emergenza suicidi al disagio psicologico presente anche in carcere e che nel nostro Paese, purtroppo, non viene adeguatamente affrontato. Condizioni gravi, a danno sia delle persone recluse ma anche di chi in queste strutture vi lavora come la Polizia penitenziaria o il personale medico. 

Eppure siamo convinti che le carceri possano essere al contempo anche un luogo di cura, di ripartenza e di riscatto. Questo è possibile solo se si riempiono le carceri di iniziative, dalla cultura allo sport. Tutto questo è possibile solo se attraverso l’istruzione e soprattutto il lavoro si dàai detenuti una prospettiva, durante e soprattutto dopo la reclusione.  

E crediamo che avvicinare le imprese al carcere sia la chiave: bisogna far conoscere loro modelli virtuosi da replicare, dobbiamo mettere gli imprenditori nelle condizioni di formare e di assumere detenuti o ex detenuti, dobbiamo capire come potenziare le competenze manageriali degli istituti, come puntare alla trasparenza nella valutazione dei progetti sociali. 

Dobbiamo superare una visione carcero-centrica e avere lo sguardo lungo per attivare le giuste sinergie e creare una vera alleanza traAmministrazione penitenziaria, imprese e società civile. 

È una battaglia di civiltà.

È un percorso sicuramente lungo e complesso, ma questa sfida la si vince tutti insieme. Dentro e fuori le mura di un carcere. Nessuno escluso.

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