Di Raffaello Masci – Da La Stampa
Roma, 6 ago. 2013: Giuseppe Roma, direttore del Censis. Siamo un paese che rinuncia. Questo sembrerebbe emergere dalle indagini sui consumi. Giusto?
«Sì, ma non mi faccia fare il solito discorso pauperistico dell’Italia disperata che non compra più neppure il pane».
È un momentaccio, ammetterà.
«Questo si sa. D’altronde abbiamo perso dal 2007 a oggi circa 120 miliardi di consumi, una cosa, per intenderci, pari al Pil dell’Ungheria. Che cosa vuole che le dica che stiamo meglio? È evidente che no. Rinunciamo, si capisce, già nell’ultimo Rapporto Censis avevamo indicato tre R per definire la dinamica dei consumi: risparmio, rinvio, rinuncio. Noi lo abbiamo rilevato a suo tempo. Ma la novità di oggi non è questa».
E quale sarebbe, allora?
«La novità vera è che questa condizione di indubbia ristrettezza ci ha fatto aguzzare l’ingegno: non consumiamo di meno in termini quantitativi, ma risparmiamo su ciò che acquistiamo. Mi spiego: i soldi sono di meno e siamo diventati tutti dei consumatori accorti. E cosa faceva una volta il consumatore accorto? Girava più posti e cercava lo stesso prodotto, della medesima qualità, ma al prezzo più conveniente. Bene: questa attitudine che prima era di pochi è diventata di massa, a motivo della crisi, e il girare non si fa più fisicamente ma online».
Oltre dieci milioni di italiani, in effetti, comprano online.
«Il fenomeno, potenzialmente, riguarda tutti. Due terzi degli italiani fino a 50 anni ha accesso sistematico a Internet, percentuale che sfiora il 100% per chi ha meno di 18 anni. Questo vuoi dire che col passare de tempo e con la crescita di questi ragazzi totalmente digitali, la vera piazza su cui misurare i consumi sarà quella virtuale. E già oggi è quella che dà il trend».
Potremmo dire che abbiamo fatto una sorta di liberalizzazioni dal basso?
«Assolutamente sì, la «lenzuolata di Bersani» (il pacchetto di liberalizzazioni fatte da Bersani quando era ministro dell’Industria – ndr) è stata fatta dagli italiani che, invece di attenersi a ciò che il mercato poneva sotto i loro occhi, si sono andati a trovare le offerte migliori in rete».
Ma in rete è difficile comprare di tutto, ammetterà.
«Non direi. Forse qualche difficoltà in più si trova per i cosiddetti beni dure voli (le automobili, o gli elettrodomestici, per esempio) ma per il resto… consideri che si comprano moltissimo anche beni finanziari – chi va più in banca per un bonifico? – così come i pacchetti sanitari, e addirittura i ristoranti tramite i coupon».
Lei dice, in definitiva, che più che riduzione dei consumi dovremmo parlare di cambiamento?
«Non nego, e d’altronde lo dicono i numeri, che ci sia stata anche una contrazione dei consumi in generale legata alla crisi, dico – però – che abbiamo fatto di necessità virtù, e abbiamo imparato a non rinunciare alla qualità semplicemente sollecitando quei meccanismi di buona concorrenza che l’onine ha permesso».
Il rapporto delle Coop parla di rinunce a bacco e tabacco.
«Tutta salute, non trova?»
E l’aumento dei cibi etnici?
«Ma mi facciano il piacere: è ovvio che sono aumentati, abbiamo quasi 5 milioni di immigrati!».